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Il cohousing per la comunità LGBTQ è un progetto edilizio e abitativo…con un punto di vista sul mondo

Sarà che gli ultimi mesi siamo stati spesso travolti da ciò che si muove attorno al disegno di legge recante “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, ma ci è venuta proprio voglia di andare a vedere […]

un cohousing è anche i suoi spazi comuni

Sarà che gli ultimi mesi siamo stati spesso travolti da ciò che si muove attorno al disegno di legge recante “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, ma ci è venuta proprio voglia di andare a vedere come si traduce in architettura una vita coerente con lo spirito di ciò che comunemente si chiama “DDL Zan”.
Come dicevamo nell’ultimo blogpost, per noi di MeWe abitare collaborativo trovare dei riferimenti in giro per il mondo che supportino la nostra idea di modi alternativi di abitare è attività importante. Anche oggi, quindi, ci piace ritornare a Vienna per andare a vedere come è stata declinata l’idea di un cohousing dedicato alla comunità LGBTQ.

Nella capitale austriaca, lo sviluppatore immobiliare WBV-GPA, cioè chi fa lo stesso mestiere di MeWe abitare collaborativo, ha realizzato a Seestadt i primi interventi del progetto Que[e]rbau, nella forma di appartamenti in affitto agevolato con opzione di acquisto caratterizzati da una forma organizzativa riconducibile al cohousing o comunque all’abitare condiviso.
Nei 33 alloggi dell’intervento principale completati nel 2017, i residenti sono stati in grado di pianificare i loro appartamenti completamente da soli e, di conseguenza, non troviamo due appartamenti uguali. Sono emerse, infatti, forme di vita non convenzionali come appartamenti condivisi e unità molto piccole, oltre a due appartamenti per richiedenti asilo. Il classico appartamento padre-madre-figlio, invece, non è così fortemente rappresentato a Que[e]rbau Seestadt, anche se vi si sono trasferite tre famiglie con bambini che apprezzano la libertà del progetto e vogliono offrire ai propri figli un ambiente il più possibile aperto dal punto di vista culturale.
L’intervento edilizio, come ogni cohousing che si rispetti, si completa con le parti comuni: al piano terra, una club room chiamata “Yella, Yella” che sarà gestita dai residenti e offrirà vari eventi aperti anche all’esterno; sulla terrazza di copertura abbiamo trovato una sauna, una tea room, una sala per seminari e una da dedicare allo yoga.

A differenza di altri cohousing, il progetto Que[e]rbau si concentra sull’individuo, come ci racconta anche il suo claim: “Ognuno è per se stesso, alcune cose si fanno insieme”. Ed ecco che capiamo subito una cosa: il progetto Que[e]rbau significa apertura alle persone che sviluppano e definiscono la propria identità e il proprio stile di vita in modo autodeterminato. In altri termini, realizzare un intervento edilizio dedicato alla comunità LGBTQ non significa dar luogo a una comunità chiusa in quell’ambito ma, all’opposto, significa selezionare una comunità in cui chi entra a farne parte è chiamato a rispettare un unico grande accordo di partecipazione: essere aperto a persone con uno stile di vita queer.
Ne consegue che Que[e]rbau è un luogo idoneo a offrire spazio per un gruppo eterogeneo di residenti e in cui il vicinato può essere composto da tutte le generazioni, da single, coppie e dalla famiglia che ciascuno sceglie di chiamare come tale.

Alla fine, crediamo di aver capito cosa sia davvero il progetto di cohousing del Que[e]rbau: un progetto edilizio e abitativo che non definisce degli specifici requisiti di accesso ma ti invita solo ad ampliare i punti di vista possibili sul mondo.