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Abbattere la solitudine e le discriminazioni di genere con il cohousing

Il cohousing (o l’abitare condiviso) può essere annoverato tra i nuovi “ammortizzatori sociali” post pandemici? In un ragionamento proiettato nel futuro prossimo, la nostra risposta è sì e ora andiamo ad articolarne la formulazione. L’idea di una casa condivisa, di una dimora “rifugio” dove trovare sempre qualcuno ad aspettarti potrebbe certamente portare ad una spinta […]

Il cohousing (o l’abitare condiviso) può essere annoverato tra i nuovi “ammortizzatori sociali” post pandemici? In un ragionamento proiettato nel futuro prossimo, la nostra risposta è sì e ora andiamo ad articolarne la formulazione. L’idea di una casa condivisa, di una dimora “rifugio” dove trovare sempre qualcuno ad aspettarti potrebbe certamente portare ad una spinta all’azione quelle persone che, spesso, non hanno reale conforto e protezione tra le mura domestiche.
Pensiamo alle fasce più deboli, alle donne che subiscono violenza e che non hanno il coraggio di denunciare: in uno spazio condiviso l’omertà potrebbe essere sconfitta.
Non solo. Dal momento che la casa in co-generazione si realizza quando si trova una comunità intenzionale disposta a condividerla e ad abitarla, il nucleo partecipato potrebbe arricchirsi di famiglie, giovani e anziani di etnie sì diverse, ma con le medesime esigenze.
Di fronte ad una sala comune, a un verde giardino o ad una stanza riservata ai giochi per i più piccoli, si è tutti uguali indipendentemente dalla provenienza geografica e dall’idioma parlato.

Cohousing, una soluzione per l’isolamento degli anziani

Il cohousing, come più volte detto, si rivela inoltre una soluzione vincente per gli anziani specialmente per coloro che sono rimasti soli e si trovano lontani da famiglia e figli. La motivazione di ciò è duplice: da un lato, infatti, si abbatte la solitudine che tanto ha segnato l’esperienza pandemica con diversi drammi personali derivati dall’isolamento forzato; dall’altro si ottengono benefici di carattere economico. Come spiega Sandro Polci sul sito “Etica ed economia”, In Italia, negli ultimi 40 anni, gli over 65 sono più che raddoppiati (dal 9,5% ad oltre il 20%). Nel medesimo tempo la complessiva popolazione italiana è aumentata del 20% arrivando cosi a vedere che quella anziana è salita del 155%. Da questi dati Polci rileva anche che:
• il 32,70% degli anziani vive da solo in case di proprietà;
• gli anziani che vivono soli, nel 61,2% dei casi posseggono un’abitazione con un numero di vani superiore a 4 (spesso in dimore senza ascensore).

Il passaggio a una comunità intenzionale partecipata in cohousing, o comunque in una condizione di abitare condiviso, avrebbe quindi il vantaggio di abbattere il costo e le spese della proprietà difficilmente sostenibili dalle pensioni attuali o di trasformare quella casa con vani in eccesso in un’abitazione partecipata al fine di ridistribuire meglio gli stessi, godere di compagnia e ridurre le spese.
Infine, l’abitare condiviso o il cohousing favorirebbe altresì la riduzione dell’ospedalizzazione non acuta degli anziani, che potrebbero essere accuditi con maggior efficacia nella propria casa, con riduzioni significative dei costi relativi alle giornate di ospedalizzazione. (MT)