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Casa non vuol dire solo avere un tetto sopra la testa e il cohousing è un modo di vivere nella società e di relazionarci con le altre persone e l’ambiente

Estrella Durá-Ferrandis, 58 anni originaria della provincia di Valencia, è membro del Parlamento europeo in rappresentanza della Spagna. E in quel consesso, in quanto eletta in quota PSOE, appartiene al gruppo politico Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici. Per quel che seguirà qui, però, è bene anche sapere che Estrella Durá-Ferrandis è un PhD in […]

Estrella Durá-Ferrandis, 58 anni originaria della provincia di Valencia, è membro del Parlamento europeo in rappresentanza della Spagna. E in quel consesso, in quanto eletta in quota PSOE, appartiene al gruppo politico Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici. Per quel che seguirà qui, però, è bene anche sapere che Estrella Durá-Ferrandis è un PhD in Psicologia ed è Professore Ordinario all’Università di Valencia.

Nella nostra conversazione via Zoom nel corso dell’anno appena trascorso vuole subito iniziare fissando il paletto fondamentale: “affinché la casa sia un diritto fondamentale bisogna ne abbiano accesso tutte le persone. E la casa è uno dei sistemi di assistenza sociale, insieme alla salute, all’istruzione, all’occupazione e ai servizi sociali, alla previdenza sociale e alla giustizia”. Quando si riconoscono i diritti in modo così chiaro, le conseguenze sono altrettanto chiare: “…pertanto, gli Stati devono garantire l’accesso ad alloggi dignitosi e accessibili per tutti i cittadini”.

Per noi di MeWe abitare collaborativo si tratterebbe, in primo luogo, di garantire le provviste finanziarie necessarie ad alimentare le spese per l’edilizia sociale dei governi che, oggi, rappresenta lo 0,66% del PIL a livello europeo, il più basso tra i livelli storici recenti e con una tendenza al ribasso. Ma veniamo immediatamente corretti da Durá-Ferrandis: “Non è un problema di mancanza di fondi, si tratta piuttosto dell’applicazione di politiche che diano impulso a un modello pubblico e sociale di alloggi accessibili a tutti, e non solo alle categorie più vulnerabili”.
Ed effettivamente, proviamo a elencare le grandi provviste finanziarie disponibili a livello europeo che basterebbe integrare una con l’altra per avere risorse sufficienti da investire nell’edilizia abitativa: abbiamo il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo per una transizione giusta, il Fondo sociale europeo, Orizzonte Europa e il Next Generation EU, il meccanismo per la ripresa e la resilienza.

Per capire meglio ciò che frena l’investimento reale nelle politiche abitative, la MEP spagnola ribadisce il senso del suo ragionamento: “bisogna che a livello nazionale gli stati optino per il modello pubblico di assistenza sociale ed è necessario che la Commissione Europea e gli Stati Membri integrino il progresso sociale come priorità di investimento, insieme alla transizione ecologica e digitale”.

A noi di MeWe abitare collaborativo, che siamo un promotore immobiliare non profit di cohousing, interessa molto anche comprendere il modello di intervento (o, meglio, di regolazione) pubblico oggi ipotizzabile che può rendere davvero esigibile il diritto alla casa. In altri termini, quello che affianca il mercato con una parallela offerta di alloggi pubblici oppure quello che regola direttamente gli operatori privati che operano sul mercato arrivando a considerare l’intero comparto immobiliare un servizio di interesse economico generale? E Durá-Ferrandis, seppur di fronte alla complessità di sistemi immobiliari estremamente diversificati nelle varie parti di Europa, non si tira indietro: “credo che dovremmo guardare nella direzione di regolare direttamente gli operatori privati che operano sul mercato, perché maggiore sarò il nostro intervento nella regolazione e meno ci sarà bisogno di intervenire con investimenti diretti nel settore sociale e nei prezzi degli affitti. Una misura concreta che i Socialisti proposero è di stabilire a livello europeo una percentuale minima di alloggi a prezzi accessibili, in particolare proponiamo che gli stati garantiscano che almeno il 30% degli alloggi di nuova costruzione siano a prezzi accessibili per le persone a basso e medio reddito. Questo emendamento non è stato approvato, è stato respinto dai partiti di destra, ma tuttavia siamo riusciti a introdurla nel report che è stato approvato su un Europa sociale più forte per una transizione giusta”.

A chi si occupa di cohousing e di altre forme dell’abitare condiviso come noi, interessa anche capire chi sono i beneficiari delle politiche abitative pubbliche del prossimo futuro. E sul punto, la MEP spagnola è altrettanto assertiva: “i beneficiari dell’edilizia sociale oggigiorno continuano a essere i gruppi più vulnerabili e a basso reddito. Ma la vulnerabilità si è estesa con la crisi del 2008 e ha raggiunto anche la classe media. Credo che ora potremmo dire che praticamente tutti siamo vulnerabili. Pertanto, in futuro, dovremmo poter essere tutti beneficiari dell’edilizia sociale, bisogna smettere di vederla come una soluzione di alloggio solo per chi non ha niente e iniziare a vederla come un diritto per tutti”.
Ora è più chiaro il motivo per cui i socialisti hanno richiesto che la casa, non solo quella sociale, fosse inclusa nella categoria di servizio di interesse economico generale (SIEG). Attualmente solo l’edilizia sociale è considerata come servizio di interesse economico generale e, come tale, da assoggettare al regime degli aiuti statali. E ricordiamo altresì che l’edilizia sociale è l’unico settore dei servici economici di interesse generale per il quale la Commissione Europea menziona un gruppo target, cittadini svantaggiati o gruppi socialmente sfavoriti, cosa che non succede con gli altri servizi sociali. Questo limita la possibilità di offrire edilizia a prezzi accessibili per tutti.

A questo punto, la conversazione la spostiamo sulla dimensione psicologica degli individui e su come questa si relazione con la casa. Il lockdown imposto dal Covid-19 ci ha fatto davvero capire come le case possano influire negativamente sulla nostra salute, segnatamente sulle nostre condizioni psicologiche a causa della solitudine o del sovraffollamento. E a noi che ci occupiamo di cohousing e abitare condiviso avere cura della dimensione psicologica ci sembra proprio meritevole di discussione.

Durá-Ferrandis si sofferma soprattutto sulle famiglie con minori: “…abbiamo bisogno di vivere in spazi accettabili, dignitosi, salubri, spaziosi, ciò è molto importante soprattutto quando si tratta di bambini, i quali saranno gli adulti di un domani: lo spazio in cui cresciamo è importante per sviluppare la nostra autostima, la nostra futura capacità di prendere decisioni, la nostra stabilità emotiva. Per questo ho insistito molto sul tema della salute mentale all’interno del sistema di garanzia infantile, che è appena stato approvato dal Parlamento, e che è una proposta socialista di significativo successo. Iniziare a promuovere la salute mentale dei più piccoli, proteggendoli con politiche pubbliche che facilitino l’accesso a una casa dignitosa e a servizi di base è fondamentale”.

Chissà se sarà il benessere psicologico dei bambini a diventare il miglior “nuovo alleato” di chi si occupa di casa e, ancor più, di cohousing… Intanto, per la nostra intervistata “è evidente che ci sia una tendenza generale verso una modo di vivere più collaborativo e in comunità. Questa è una reazione naturale delle persone di fronte alla situazione abitativa in cui ci troviamo oggigiorno, con alloggi sempre più ridotti e a prezzi meno accessibili”.

Quando la conversazione si sposta sui modelli di abitare condiviso e sul cohousing, la Durá-Ferrandis ci conferma quello che sosteniamo da tempo: le case e il loro immaginario seguono le esigenze sociali mutevoli: il cambiamento demografico è rapido e la composizione del nucleo famigliare sta cambiando. Il tema psicologico ritorna nella nostra conversazione: “le persone che scelgono il cohousing sviluppano una comunità intorno a loro che gli aiuta ad affrontare i problemi di solitudine e isolamento così tanto presenti nell’attualità e, allo stesso tempo, questo modello permette di condividere le spese, ma anche le responsabilità legate al manutenzione. Credo che l’abitare collaborativo o il cohousing continuerà a crescere nei prossimi anni e avrà un grande impatto a livello locale”.
E quando parliamo di cohousing, oltre all’infanzia si materializza il grande carattere della civiltà occidentale: l’invecchiamento. Anche per Durá-Ferrandis “il report sull’invecchiamento del Vecchio Continente o il Libro Verde sull’invecchiamento, che raccolgono le sfide legate alla politica per l’invecchiamento, suggeriscono delle proposte come a esempio la convivenza intergenerazionale”.
Ci lasciamo con uno slogan che a noi di MeWe abitare collaborativo piace proprio come brand del modo di abitare condiviso in un cohousing: “casa non vuol dire solo avere un tetto sopra la testa, la casa è un modo di vivere nella società e di relazionarci con le altre persone e l’ambiente”.