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Chi promuove cohousing può anche essere un po’ radicale

A volte le settimane sono un po’ strane. Nel senso che si sommano cose apparentemente scollegate ma che, se messe insieme, assumono un senso preciso. “La vision di MeWe abitare collaborativo è incentrata sulle relazioni tra le persone che abitano i cohousing. Il resto della comunicazione è un po’ off topic”. Ci vien detto in […]

A volte le settimane sono un po’ strane. Nel senso che si sommano cose apparentemente scollegate ma che, se messe insieme, assumono un senso preciso.
“La vision di MeWe abitare collaborativo è incentrata sulle relazioni tra le persone che abitano i cohousing. Il resto della comunicazione è un po’ off topic”. Ci vien detto in una conversazione.
“Ma che c’azzecca il cercare di coprire forme alternative nell’offerta immobiliare con il cohousing?” è un passaggio significativo di un’altra conversazione.

Le conversazioni che abbiamo avuto non sono contemporanee e nemmeno si sono tenute negli stessi luoghi, sono una indipendente dall’altra, ma se le mettiamo insieme, vien fuori un sentiero di senso e di identità che MeWe abitare collaborativo vuole difendere.
La nostra vision, infatti, è duplice: da un lato, il “ricostruire relazioni familiari dove non ci sono più” e, dall’altro, rendere la casa un bene accessibile nei costi per far sì che le persone possano avere “la libertà di seguire altre aspirazioni di vita”.

Di fatto, ci vien detto che cercare di offrire case secondo percorsi alternativi alle consuete modalità già sperimentate nel mercato immobiliare è un messaggio confusivo rispetto a quello vincente tipico dell’abitare condiviso e del cohousing.
Di fatto, ci vien detto che lasciar perdere il prezzo di mercato delle case e cercare di offrirle in base al loro costo di produzione è confusivo o anche che è una questione divisiva cercare di far sì che i futuri coabitanti diventino imprenditori di sé stessi, sostituendosi, grazie al nostro supporto, alle figure dello sviluppatore immobiliare e del commercializzatore o ancora, che promuovere una coalizione di soggetti (come gli enti locali che apportano immobili a condizione di favore) intorno a evidenti obiettivi sociali è mestiere differente rispetto a quello del fare il promotore immobiliare di cohousing.

No, nel fare cohousing, la radicalità nell’offerta economica di casa non è separabile da quella attinente le relazioni tra le persone. Anzi, a nostro avviso, sono proprio le categorie di persone più vulnerabili economicamente quelle che più possono giovarsi del supporto reciproco attivabile abitando in un cohousing.
Sul punto, viene in mente Chico Mendes a proposito dell’Amazzonia: “l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”. Promuovere cohousing, senza un atteggiamento critico nei confronti dei meccanismi di produzioni immobiliare, è “roba da contesse”…