Dopo una settimana non è più il tempo del festeggiamento: è il tempo dell’assunzione di responsabilità. Ed è questo il nostro vero modo di ringraziare il Festival Nazionale dell’Economia Civile per il riconoscimento che ha voluto dare alla nostra società che si occupa di cohousing e al gruppo di lavoro che abbiamo chiamato “Social Homing”, cioè i soci under 35 che vogliono apportare il peculiare punto di vista dei più giovani nella riformulazione di nuove modalità di abitare.
Il punto di partenza del FNEC è anche il nostro. “Aumentano le diseguaglianze che mettono maggiormente a rischio i più deboli e i più fragili. Il ritorno dell’inflazione, sopita da vent’anni, erode il valore dei risparmi e aumenta la schiera dei poveri. La crisi demografica non accenna a rallentare, e affonda le sue radici non solo nelle difficoltà economiche ma da una più generale crisi delle relazioni e perdita della speranza nel futuro”.
Ed è il nostro anche l’orizzonte che l’Economia Civile indica con convinzione: “…siamo esseri relazionali, profondamente interconnessi la cui soddisfazione e ricchezza di senso dipendono dalla nostra capacità di essere generativi, ovvero di seminare con creatività e capacità di visione qualcosa in grado di realizzare un impatto positivo nelle vite dei nostri simili e delle generazioni future”.
La relazione è l’elemento alla base della “buona compagnia” che il FNEC mette al centro di ogni ipotesi progettuale. Anche a noi di MeWe abitare collaborativo la relazione interessa molto, dato che siamo fermamente convinti che la solitudine, l’isolamento di ogni impostazione fondata sul solo io, finiscono per inaridire.
Come ci interessa la “comunità di destino”, cioè l’intensa definizione con cui lo psichiatra e umanista Eugenio Borgna, affrontando la fragilità della condizione umana, la eleva a “motore” della solidarietà, della mutualità, della condivisione. E nei nostri cohousing non ci fa paura traguardare l’attivazione di relazioni amicali tra le persone somiglianti, quell’amicizia “capace di creare fragili comunità di cura e di destino che consentono di dare un senso alla vita, anche nelle ore dell’angoscia e dell’agonia della speranza”.
Rispetto a questa visione, il punto di vista dei giovani cari al gruppo interno di “Social Homing” sembra essere caratterizzato da cambiamenti potenzialmente capaci di accogliere con più facilità l’innovazione del nel settore abitativo: forme di condivisione e cohousing sembrano adattarsi bene a chi è stato così esposto alle trasformazioni delle strutture famigliari e alla crescente mobilità territoriale, al pari di chi ha vissuto sempre dentro una cornice di flessibilizzazione del mercato del lavoro, di diffusione delle logiche della sharing economy e di una cultura abitativa improntata alla sostenibilità ambientale.
Allo stesso modo, chi è sufficientemente indifferente al possesso delle cose quanto al loro uso, come lo sono i giovani che non hanno mai avuto ad esempio un’automobile in proprietà, sembrano i soggetti più pronti ad accettare forme di disponibilità della loro casa che prescindono dal loro essere perenni e si fondano sulla separazione tra proprietà del suolo e disponibilità del solo soprassuolo quale strategia per rendere l’alloggio un bene finanziariamente più accessibile per molti.
E i giovani di “Social Homing” già qualcosa ci hanno insegnato nel delineare forme differenti di fare impresa: la gentilezza. Quella gentilezza che è come un ponte e che ci fa uscire dai confini del nostro io, della nostra soggettività, che ci tiene lontani dall’individualismo e ci fa quindi partecipi della interiorità, della soggettività, di chi ci assomiglia per pensieri, modi, obiettivi; quel bene capace di generare invisibili alleanze e visibili comunità di destino…