La scorsa settimana anche noi di MeWe abitare collaborativo abbiamo dato un’occhiata allo studio di Confcooperative e Censis: “Un Paese da ricucire”.
Ci ha colpito come è stata declinata la povertà in Italia: nel nostro Paese esistono 10 milioni di poveri, cioè persone che soffrono l’insufficienza del proprio reddito nel fronteggiare l’esplosione di prezzi e tariffe, all’interno dei quali i costi collegati alla casa, utenze e mutui in primis, rivestono un ruolo primario.
È rilevante lo studio allorché ci dice come il disagio sociale sia un nemico mobile, perché suscettibile di superare i confini consolidati della povertà conquistando nuovi spazi, finendo per inghiottire 3 milioni di famiglie e, soprattutto, mietendo nuove vittime tra coloro che fino a oggi pensavano di esserne al riparo.
Undici famiglie su cento hanno una spesa per consumi che le collocano sotto la soglia di povertà, a cominciare dai 6,2 milioni di pensionati sotto i 12.000€.
Anche avere un lavoro non basta: viene calcolato che ci sono 5 milioni di lavoratori poveri, cioè i cui salari o stipendi non bastano a mantenere uno standard di vita consolidato.
E, infine, almeno 300mila imprese rischiano di crollare sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti e per l’esorbitante aumento delle tariffe energetiche, rischiando di far ingrossare le file della povertà con pesanti contraccolpi per l’occupazione di circa 3 milioni di persone.
Davanti a noi, anche a noi che ci occupiamo di cohousing e di casa sociale, abbiamo un problema non solo di disuguaglianze, ma anche di polarizzazione fra chi è riuscito a contrastare e a resistere alle diverse ondate di crisi e chi, già partendo da condizioni svantaggiate, non è in grado di difendersi dalle pesanti ricadute dell’emergenza sanitaria, prima, e dell’impatto dell’inflazione in questi mesi.
Proprio quest’ultima si presenta come fortemente selettiva nei confronti di chi non ha margine per compensare un’immediata perdita di potere d’acquisto a fronte di spese non comprimibili e strettamente legate alla possibilità di condurre una vita: come lo è scaldare la propria casa.
Ma cosa possiamo dire noi per ricucire quegli strappi, con i nostri cohousing accessibili nei costi e capaci di produrre quella preziosa micro mutualità tra i residenti?
Le ipotesi che portiamo avanti per dare il nostro piccolo contributo nel ricucire gli strappi in un Paese come il nostro sono essenzialmente due:
• chiedere e favorire percorsi di giustizia sociale come immaginata da John Rawls, affinché tutti i beni sociali principali possano essere distribuiti in modo eguale, pensando che una distribuzione equa esiste solo se avvantaggia i più svantaggiati;
• facilitare la nascita e la crescita dell’imprenditorialità a vocazione sociale e cioè di quelle organizzazioni la cui mission supera la creazione di valore per il solo azionista a favore di una creazione di valore condiviso.
Alla base dell’intraprendere, anche del nostro la cui mission è l’abitare condiviso e il cohousing, non può mancare l’ottimismo nell’avvenire e, quando le cose hanno espressività non secolarizzata, anche speranza nel futuro, come precisa Maria Zambrano.
Questa speranza poggia su una convinzione di fondo che la congiuntura connotata dall’inflazione a doppia cifra rafforza: “La transizione ecologica avrà da essere socialmente sostenibile. Altrimenti non ci sarà alcuna transizione…”. E il caro bollette, cioè quella sorta di prova generale di ciò che potrà essere la transizione, ci ribadisce la necessità di rimettere la persona al centro del modello di crescita. O, nel nostro piccolo mondo fatto di cohousing, al centro del processo di produzione della propria casa.