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“…ciò che conta è che (la mia casa) sia vicina alle persone che amo…”

Il blog post questa volta è nella forma di un guest post, dato che abbiamo chiesto il parere su come si fa a costruire lo storytelling intorno al cohousing a Michele Trada, giornalista professionista, direttore di Inkalce Magazine e Ceo di Brainding. Michela non è esperta di cohousing (anche se con noi collabora e qualcosa […]

la carenza di un immaginario potente e capace di alimentare il sogno di abitare in un cohousing è evidente

Il blog post questa volta è nella forma di un guest post, dato che abbiamo chiesto il parere su come si fa a costruire lo storytelling intorno al cohousing a Michele Trada, giornalista professionista, direttore di Inkalce Magazine e Ceo di Brainding. Michela non è esperta di cohousing (anche se con noi collabora e qualcosa è stata costretta a impararla) ma di storytelling. Anzi, di storytelling di impresa. E perché chiedere proprio come si potrebbe fare lo storytelling sull’abitare condiviso? Perché quello della carenza di un immaginario potente e capace di alimentare il sogno di abitare in un cohousing è evidente: basta parlare con un potenziale cohousers e, dopo un po’, ti dice che un immaginario del cohousing non c’è, che il suo sogno fa più fatica a prender forma perché non è nutrito da una storia che lo precede.

<<Quando utilizziamo il termine archetipo lo facciamo per delineare un pensiero, un’immagine preesistente nella nostra mente; non sappiamo da dove quell’idea scaturisca, le sue origini e le sue forme, ma abbiamo la consapevolezza inconscia della sua contezza. Se immaginiamo, ad esempio, di dare vita al termine “casa”, subito nel nostro subconscio si delinea la raffigurazione della villetta indipendente, in mezzo ai verdi prati.
Quando diciamo ad un bambino “disegna una casa”, il piccolo, infatti, difficilmente si metterà a rappresentare un appartamento o un alto edificio: un tetto rosso e una facciata gialla sarà verisimilmente quello che apparirà sul foglio.
Ma da dove nasce questa concezione di “casa”? Sicuramente lo storytelling delle reclame pubblicitarie degli anni Settanta/Ottanta ha contribuito a forgiare nella nostra mente l’ideale della famiglia perfetta che vive nell’abitazione sperduta perfetta e in cui tutti sono felici e contenti; ad esse aggiungiamoci qualche telefilm e lungometraggio, possibilmente strappalacrime, e il gioco è fatto.
Casa uguale famiglia: niente vicini, niente amici, niente condivisione. Del resto, già Ludovico Ariosto nel 1500 aveva definito la sua abitazione “parva sed apta mihi” (piccola ma adatta me) discostandosi enormemente dall’ideale del palazzo con servi e cortigiani medievale.

Eppure “casa”, come è emerso dalle indagini più volte riportate anche sul blog, è molto altro: è un luogo di incontro, scambio, vicinanza e confronto. Un porto sicuro da condividere con altri, un luogo in cui gli spazi e le stanze cambiano a seconda delle necessità.
Il cohousing è una realtà sempre più utilizzata ed apprezzata tanto in Europa quanto in Italia: perché allora non esiste una narrazione scritta e visiva di questa tipologia dell’abitare? Perché la comunicazione del mondo “casa” si attiene, ancora oggi, alla struttura singola super efficiente e all’avanguardia da un punto di vista tecnologico, ma non dal lato umano?
Immagino che la risposta sia in quell’archetipo di cui facevo menzione all’inizio del testo; come provare, dunque, a cambiarlo, ad arricchirlo e ad implementarlo con altre nozioni?

Da un punto di vista comunicativo la pandemia ci ha fatto un assist, evidenziando quanto la comunità oggi sia una necessità di tanti; una narrazione rivolta alla persona e non alla struttura risulta così credibile e replicabile.
Non importa se il mio appartamento sia di 120 metri quadri: ciò che conta è che sia vicino alle persone che amo. Uno storytelling non più focalizzato sull’efficientamento energetico o meglio, non solo centrato su questo, ma sui valori degli individui, rimodella quindi l’oggetto “casa” umanizzandolo.
Sono le storie delle persone che vivono in quegli spazi a rendere quegli stessi spazi umani e vivi e non solo il parquet o il caminetto ad induzione. Quando dobbiamo spiegare l’utilità del nostro prodotto o servizio a clienti ed amici lo facciamo anche attraverso esempi e testimonianze; lo stesso deve avvenire per l’universo casa.
Perché scegliere il cohousing? Diamo voce a chi ha già scelto questa tipologia abitativa: solo l’immedesimazione valoriale porta ad una reazione, positiva o negativa poco importa. La neutralità non paga e non c’è niente di peggio quando si comunica qualcosa a qualcuno di non generare una risposta. Fin dalla tradizione omerica abbiamo raccontato e tramandato storie: guardando al passato si trovano spesso le risposte anche per il futuro>>.