A volte, quando la fatica del promuovere cohousing si fa più evidente, ci viene in soccorso l’idea di trovare qualche fondamento del nostro operare nei classici.
Qualche giorno fa ci è capitato tra le mani “Piccolo è bello” di Ernst Friedrich Schumacher che, quando nel 1973 venne pubblicato, impose un’attenzione nuova alla globalizzazione che di lì a poco avrebbe a bussato alle nostre porte, cambiando tutto. Un classico il cui sottotitolo è ancora più indicativo: “Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa”.
Schumacher non è proprio uno qualunque. Tedesco del 1911 che decise di abbandonare ogni legame con la Germania nazista e di trasferirsi a Londra con la moglie e il figlio. Il grande economista John Maynard Keynes si accorge di lui e finisce per contribuire (seppur non accreditato) al Rapporto Beveridge nei primi anni ‘40 e al Piano Marshall del ‘47.
La proposta di “Piccolo è bello” non era certo fermare la storia e lo sviluppo ma, piuttosto, lasciare che nelle decisioni fondamentali avessero voce anche quei fattori, di solito ignorati, che invece sarebbero determinanti per generare coesione dentro una comunità locale e per dare senso alla vita delle persone, con affermazioni che fanno trovare in Schumacher notevoli sintonie con l’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”.
Per sopravvivere, sosteneva il saggio di Schumacher, il sistema deve puntare su risorse locali e mercati locali. Oggi, in Europa (ma crediamo anche oltre), ci pare sia un tema di grande attualità.
Per quell’autore era necessario (ma lo è ancor oggi) introdurre il concetto di saggezza in economia, affermando quindi la teorizzazione di un’economia della stabilità (il corrispettivo della saggezza in economia). La stabilità economica presuppone un mutamento della tecnologia utilizzata. Ed è qui che troviamo il maggior fondamento rispetto al modo di abitare che ci è caro, cioè quello connesso al cohousing.
Sarebbero quindi necessari diversi tipi di tecnologie e attrezzature che corrispondano a tre requisiti essenziali: “che siano abbastanza economiche da essere accessibili praticamente a ognuno; adatte ad essere applicate su piccola scala e compatibili con il bisogno di creatività dell’uomo”.
Un tale tipo di tecnologia permetterebbe l’auto-produzione locale e il decentramento progressivo della società, prerogative tali da consentire, per dirla con le parole di Aldous Huxley, “una vita più umana e soddisfacente per più persone, una democrazia autogestita più ampia e genuina”.
Ancora più esplicito Schumacher lo è in questo passaggio: «Al giorno d’oggi soffriamo di un’idolatria quasi universale per il gigantismo. Perciò è necessario insistere sulle virtù della piccola dimensione, almeno dovunque essa sia applicabile».
Gli esseri umani si sono evoluti per prosperare in tribù, che nel nostro mondo fatto di cohousing preferiamo chiamarle comunità, al massimo di 50-70 persone. Riportare l’umanità a vivere in piccole comunità sane è il più grande obiettivo che abbiamo davanti per affrontare i problemi individuali e sociali.
In questa sfida, l’offrire modelli di abitare riconducibili al cohousing la riteniamo una ricetta che va proprio nella direzione indicata da Schumacher.
Oltre la piccola comunità più prossima alla nostra sfera individuale di cui ci occupiamo noi promotori di cohousing, Schumacher ci porta a pensare un mondo organizzato da cooperative di credito a livello di comunità federate in “organizzazioni ombrello”, imprese controllate dai lavoratori, cooperative di servizi diretta emanazione di stakeholders, ecc.: è un mondo desiderabile?