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Il cohousing va bene, ma non dimentichiamoci della transizione ecologica…quella “giusta”

MeWe Abitare Collaborativo, a proposito del grande tema della sostenibilità, è attenta alla dimensione effettiva del cambiamento che è in grado di produrre nei contesti territoriali in cui è chiamata a operare. Tra i vari impatti sociali che l’azione di MeWe abitare collaborativo intende avere vi è anche una specifica attenzione alla “riduzione dell’impatto ecologico […]

povertà energetica

MeWe Abitare Collaborativo, a proposito del grande tema della sostenibilità, è attenta alla dimensione effettiva del cambiamento che è in grado di produrre nei contesti territoriali in cui è chiamata a operare. Tra i vari impatti sociali che l’azione di MeWe abitare collaborativo intende avere vi è anche una specifica attenzione alla “riduzione dell’impatto ecologico della casa e dei comportamenti degli abitanti” e alla “diffusione di una nuova cultura abitativa solidale e sostenibile”.

La sensibilità sociale di MeWe abitare collaborativo è tale da richiamare una specifica attenzione alla giustizia del processo di transizione ecologica in atto, cioè agli effetti di riduzione delle disuguaglianze che un mondo più sostenibile dal punto di vista ambientale è chiamato a compiere. E ciò anche quando non abbiamo a che fare con uno specifico cohousing

La transizione ecologica…per la middle-class
La lettura di un recente articolo comparso sul blog di Rockwool (importantissimo produttore di materiali e componenti per l’isolamento termico degli edifici) ci fa capire molto bene come il dibattito su come rendere più sostenibile il patrimonio edilizio sia essenzialmente dominato dalla lobby dell’isolamento e dell’efficientamento termico. E questa tendenza verso il pensiero unico, a nostro avviso, non è la condizione più salutare per un dibattito equilibrato intorno alla necessità di una “giusta” transizione ecologica.

Rockwool (e prendiamo il suo pezzo come un esempio tra i tanti) evidenzia come gli interventi di rinnovamento energetico siano ancora troppo pochi. Inoltre, ci dice che il processo di riqualificazione energetica è ancora limitato a specifiche parti dell’edificio e, di conseguenza, i risultati in termini di riduzione dei consumi energetici sono ancora modesti. Dopo di che insiste sulla fissazione di ulteriori standard di prestazione come nuova spinta a investimenti sempre più orientati al rinnovamento profondo del patrimonio edilizio.
Intendiamoci: sono tutte cose vere. Solo che non sono le uniche considerazioni possibili allorché si pensa alla riqualificazione degli edifici.

A noi di MeWe abitare collaborativo, che viviamo non solo di cohousing, sembra un buon esempio di discussione sul cambiamento climatico portato avanti, se non dominato, dalle voci della classe media. E, ovviamente, un modo di ragionare del genere permette che la discussione sia orientata esclusivamente alle soluzioni idonee per la classe media.

La transizione ecologica, se sarà, sarà solidale…altrimenti non sarà
Una transizione ecologica che sia anche “giusta” non potrà essere raggiunta concentrandosi solo sulle decisioni prese dalle (e per le) famiglie della middle-class. Perché ci sono anche le famiglie a reddito basso…
Nonostante queste ultime rappresentino una frazione minuscola delle emissioni ambientali effettive rispetto agli individui della middle-class e alle società benestanti, le persone più povere devono ad esempio affrontare esiti sanitari significativamente peggiori a causa dell’inquinamento atmosferico, oppure pagano in modo sproporzionato le bollette energetiche e, inoltre, corrono un rischio molto maggiore di povertà energetica.

Il discorso edilizio sulla transizione ecologica non può essere solo fatto dall’isolamento delle case, dal passaggio al tutto elettrico o dall’aggiunta di pannelli solari che saranno capaci di ridurre la nostra impronta di carbonio. Quello stesso discorso deve anche occuparsi, ad esempio, di come ridurre le bollette energetiche per alcune delle famiglie più vulnerabili e con il reddito più basso, alleviando alcune delle pressioni della povertà nel processo di transizione ecologica.

In MeWe abitare collaborativo immaginiamo una transizione ecologica “giusta”, cioè capace di assicurare che le disuguaglianze non siano aggravate mentre diventiamo più sostenibili dal punto di vista ambientale e che nessuno sia lasciato indietro nel processo. Ridurre le emissioni -cosa che peraltro dobbiamo comunque fare- è quindi il momento per reimmaginare anche i sistemi sociali ed economici in modo da affrontare positivamente alcune ingiustizie storicamente formate.

In MeWe abitare collaborativo, quando non pensiamo all’abitare condiviso, più che a meccanismi riconducibili al cd. Superbonus 110% guardiamo con interesse a sistemi tipo il PIPP (Percentage of Income Payment Plan) introdotto in qualche stato americano tipo l’Ohio. E quando, oltre al cohousing, parliamo di progetti di riqualificazione energetica immaginiamo un approccio più equilibrato, tale da guardare non solo l’efficienza energetica ma anche gli aspetti sul lato dell’inclusione sociale, dell’accessibilità economica, della vivibilità, della convenienza per tutte le parti.

A meno che non si pensi davvero a una “politica” quale quella del cd. Superbonus 110% come a una strategia replicabile: in quel caso ci vien da chiedere: se tutto fosse così semplice e nessuno –tranne lo Stato…e le future generazioni- deve pagare, perché non l’abbiamo già fatta prima questo tipo di transizione ecologica?