MeWe Abitare Collaborativo aderisce a Confcooperative.
La Carta dell’habitat (ed. La Vita Felice, 2019) che Giancarlo Consonni ha redatto su sollecitazione di Confcooperative si propone come un decalogo di principi destinato a responsabilizzare diversi soggetti, pubblici e privati, professionali e politici, coinvolti nell’atto di allestire i luoghi dell’abitare, cioè le case e i contesti in cui esse si trovano.
E, allora, cosa dice la Carta dell’habitat a noi di MeWe Abitare Collaborativo? e, ancora, cosa non dice a noi che ci occupiamo di cohousing e delle varie forme di abitare condiviso?
In primo luogo, una conferma: occorre battersi perché sia garantito a tutti di avere una casa, come prescrive anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), che assimila questo ad altri diritti: alla salute, alle cure mediche, alla sicurezza in caso di disoccupazione o di invalidità….
La Carta dell’habitat, così come formulata da Consonni, può diventare il riferimento, magari solo implicito, di gruppi e associazioni che agiscono proprio in quei contesti e per quei gruppi sociali in cui più marcate sono la condizione di vulnerabilità e le disuguaglianze.
Un pezzo della vision di MeWe Abitare Collaborativo dice proprio che noi si ha desiderio e ci adoperiamo affinché la casa sia un bene più accessibile per molti, in modo che persone e famiglie possano fermarsi a pensare ai propri sogni e bisogni: la realizzazione delle loro case non deve esaurire tutte le altre opportunità e aspirazioni di vita.
Anche per Consonni e la sua Carta avere una casa è necessario, ma non è sufficiente, perché una casa deve essere parte di un contesto.
La casa deve trovarsi infatti in una relazione stretta con ciò che la circonda e cioè con un luogo che assicuri spazi dove convivere e dove incontrarsi, servizi cui accedere, da quelli dell’istruzione a quelli della salute, da quelli dello svago a quelli dello sport, insomma un luogo in cui ci si possa sentire sufficientemente gratificati dal punto di vista funzionale e simbolico. È da lì che può partire quel grande progetto culturale del vivere civile di cui parla Consonni.
Una seconda coincidenza che noi di MeWe abitare collaborativo intravediamo con la Carta di Consonni attiene all’individuata necessità di rafforzamento delle relazioni di prossimità.
Per Consonni, l’urbanità è una qualità tanto dell’insediamento quanto della convivenza civile da cui molto dipende l’abitabilità di un luogo, di un quartiere, di un borgo, di una città, di una metropoli. La qualità dell’abitare, e con essa la qualità del vivere, dipendono dalle relazioni tra la casa e il contesto; che la Carta distingue in due ordini: le relazioni a distanza (assicurate dalle reti di trasporto e dalle reti delle telecomunicazioni, ora sempre più informatizzate) e le relazioni di prossimità.
Potremmo mai, noi che ci occupiamo di cohousing, non esser d’accordo con la Carta allorché le relazioni di prossimità vengono poste alle basi della qualità dell’abitare?
Ma, allora, cosa non troviamo noi di MeWe Abitare Collaborativa nella Carta dell’habitat promossa da Confcooperative? C’è un passaggio che merita di essere attentamente ripensato: “la prima infrastruttura della socialità è lo spazio pubblico”. Secondo noi questa è un’occasione mancata perché prima di arrivare allo spazio pubblico la vita delle persone incontra un’altra infrastruttura: la nostra casa.
Consonni non va molto oltre al concetto di casa come una monade, autosufficiente e chiusa in sé stessa. Non trova la forza per prendere le distanze in modo netto dall’idea della coppia Berlusconi-Bertolaso dopo il terremoto dell’Aquila del 2009: il progetto C.a.s.e. cioè Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili, aggettivi alla moda e vuoti di senso, che evocano una casa come simbolo suggestivo nella sua dimensione privatistica, proprietaria, da “padroni in casa propria”, richiamando l’epica imprenditoriale del ‘Cavaliere’, il Piano Casa e l’abolizione dell’Ici sulla prima casa.
È vero che la Carta vede la casa sempre in rapporto alla città, ma perde l’occasione di mettere in discussione proprio la forma dell’abitare connessa alla tipologia edilizia. È lì che ognuno incontra il primo livello di vita associata, quello che ci mette in relazione con i vicini di casa. Consonni non mette in discussione i “tipi edilizi” e le loro valenze relazionali: qui ci dividiamo. Perché chi si occupa di cohousing e di abitare condiviso ha il dovere di arricchire l’offerta immobiliare di nuove modalità abitative che hanno come obiettivo principale proprio l’attivazione e la cura delle relazioni di prossimità tanto care anche alla Carta.