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La forma giuridica (possibile) di un cohousing

Dalla Spagna ci arriva un bell’esempio di come fare un cohousing. Non è detto che sia il modello da replicare ma è, comunque, un esempio da conoscere. E oggi proviamo a spiegarlo per come lo abbiamo conosciuto noi. Nel mondo cooperativo catalano ciò che ci convince è, in primo luogo, la mission: avere un progetto […]

Dalla Spagna ci arriva un bell’esempio di come fare un cohousing. Non è detto che sia il modello da replicare ma è, comunque, un esempio da conoscere. E oggi proviamo a spiegarlo per come lo abbiamo conosciuto noi.

Nel mondo cooperativo catalano ciò che ci convince è, in primo luogo, la mission: avere un progetto politico per quanto riguarda la questione dell’alloggio. Cioè avere un’influenza politica sulla questione dell’alloggio, la cui pressione per molte persone sta aumentando in modo insostenibile rispetto ai redditi e poter, quindi, sperimentare nuovi modelli di regime immobiliare che non consentono la speculazione.

Quando guardiamo l’edificio di proprietà collettiva La Borda a Barcelona oppure l’esperienza del cohousing di Entrepatios a Madrid, in primo luogo guardiamo il regime del diritto d’uso. Fondamentalmente, non è altro che liberare un edificio dalla speculazione; al di là del fatto che in un preciso momento qualcuno vive in un alloggio dentro un edificio in abitare condiviso, quello stesso cohousing realizzato in regime di diritto d’uso non potrà essere venduto o affittato, ma potrà essere solo utilizzato come casa.

Non è una cosa da poco. Il diritto d’uso è quindi un regime di proprietà abitativa che sta tra la proprietà e l’affitto. Come funziona?

Vediamo. Ogni abitante è anche comproprietario collettivo del cohousing complessivamente inteso. O, meglio, è la cooperativa che è proprietaria dell’edificio e di ciascun alloggio. Ogni singolo abitante è socio della cooperativa.

Le cooperative edilizie, in Spagna ma anche da queste parti, sono comuni quando si tratta di costruire edifici, ma una volta che l’edificio è costruito, viene effettuata la divisione orizzontale dell’edificio: ogni abitante rimane il proprietario della sua casa e la cooperativa scompare per sempre.

Con il regime del diritto d’uso, no. La proprietà dell’immobile resta nelle mani della cooperativa e i suoi soci usufruiscono delle case, ma non ne sono mai proprietarie. E realizzare un cohousing con le parti in comune risulta più facile.

È un sistema che ha come riferimento il modello Andel della Danimarca, che regola questo regime abitativo dal 1970 e che dal 1981 fornisce aiuti finanziari agli abitanti delle quasi 125.000 case di questo tipo che oggi si contano nel Paese. Anche le cooperative edilizie di proprietà collettiva in Uruguay, dove ci sono già più di 30.000 case, seguono questo modello.

Proviamo a isolare qualche numero essenziale, tanto per completare il quadro delle informazioni. Prendiamo quale esempio la cooperativa Entrepatios Las Carolinas a Madrid: composta da 53 persone che abitano in 17 alloggi e per i quali hanno versato tra i 40.000 e i 50.000 euro di acconto prima dei lavori, a seconda delle dimensioni della loro abitazione. Tale importo verrà restituito in caso una famiglia lasci anzitempo la cooperativa e sarà reintegrato da chi sarà chiamato a occupare quella stessa casa.

In totale, sono circa 800.000 euro con i quali la cooperativa ha acquistato il terreno su cui sorge il cohousing. A questo importo si aggiunge un mutuo di 30 anni che i soci della cooperativa hanno chiesto agli enti bancari etici per 3,29 milioni di euro. Si tratta di un mutuo sottoscritto da 31 persone, di importo variabile sempre in ragione delle dimensioni del singolo alloggio, che oscilla comunque intorno ai 230.000 euro.

Per un appartamento di 70 mq, più circa 20 mq di spazi comuni, il canone mensile è di 650 euro: una delle linee rosse del piano economico è che tale prezzo non superi mai il costo di 10 €/mq al mese. Tanto o poco? Più o meno è la metà di ciò che potresti trovare nel libero mercato. E in questo costo hai già compresa l’incidenza delle parti comuni del cohousing.

Troppo complesso? Troppo radicale? Un po’ tutto di ciò, anche se il primo obiettivo dovrebbe essere la compartecipazione degli Enti Pubblici attraverso la cessione gratuita del suolo in diritto d’uso per qualche decennio, in modo da eliminare l’incidenza dell’immobile di partenza e destinare l’acconto iniziale a coprire quota parte del costo di costruzione/recupero, cioè evitando un poco fattibile indebitamento pari al 100% del costo di costruzione.

In questo senso, relativamente alla complessità/radicalità dello schema, occorre pensare a quali garanzie dare all’Ente Pubblico che conferisce l’immobile di partenza gratuitamente.

Un secondo obiettivo, è trovare una partnership con un istituto di credito etico che compartecipi all’operazione immobiliare finanziandola.

E rispetto all’immaginario della casa in proprietà? certo, sembra molto radicale, ma siamo sicuri che un giovane della Generazione Z, in prospettiva, abbia un immaginario relativo alla casa che replica quello delle generazioni precedenti?