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Perché è così difficile sviluppare progetti di cohousing?

Progettare un cohousing e andarci a vivere implica rompere con il modello sociale in cui una persona è cresciuta: cerchiamo di capirne i motivi. La solitudine contemporanea In fondo al cuore di ognuno di noi c’è un sogno profondo e sincero: quello di invecchiare e morire circondati dall’affetto della nostra famiglia, tra le braccia dei […]

Progettare un cohousing e andarci a vivere implica rompere con il modello sociale in cui una persona è cresciuta: cerchiamo di capirne i motivi.

La solitudine contemporanea

In fondo al cuore di ognuno di noi c’è un sogno profondo e sincero: quello di invecchiare e morire circondati dall’affetto della nostra famiglia, tra le braccia dei nostri figli e delle nostre figlie, mentre ci scaldiamo con il sorriso malizioso dei nostri nipoti. Tuttavia, è con grande tristezza che dobbiamo riconoscere che questo sogno rimane, per molti, solo un’illusione.

La realtà che ci circonda è che la solitudine avanza inesorabilmente, come un’epidemia silenziosa che colpisce sempre più persone. In Giappone, per affrontare questo problema, è stato creato un ministero della solitudine. Anche nel Regno Unito esiste una segreteria di stato dedicata a questo tema, e in molti altri paesi occidentali si stanno studiando programmi e iniziative per combattere il dilagare della solitudine, che colpisce persone di tutte le età.

A noi di MeWe abitare collaborativo il cohousing interessa perché è un modo efficace di vincere la solitudine e, con ciò, garantire il diritto alla salute e al benessere psicologico.

Le barriere che l’idea del cohousing deve superare

Negli ultimi 150 anni, l’individualismo è cresciuto in modo inarrestabile. Questo fenomeno psicosociologico porta a dare priorità all’individuo rispetto alla comunità, favorendo l’indipendenza delle persone, ma al contempo indebolendo i legami familiari e comunitari. La società moderna e contemporanea, purtroppo, ha visto un aumento della solitudine e dell’isolamento.

La storia ha dimostrato che l’individualismo è legato anche a robusti fattori socioeconomici. A partire dal 1860, le famiglie sono diventate sempre più piccole, passando dalle famiglie allargate di due secoli fa, prevalentemente in contesti agricoli, ai piccoli nuclei familiari urbani di oggi. Questo cambiamento ha portato a una minore interazione con la comunità e a un aumento dell’isolamento sociale. Inoltre, le professioni liberali o d’ufficio, comunemente chiamate “colletti bianchi”, hanno sostituito i lavori collettivi e manuali, tipici della campagna e della classe operaia, noti come “colletti blu”.

La verità è che rompere con il modello sociale in cui una persona è cresciuta e si è sviluppata può generare molta paura e ansia. E, curiosamente, ciò che rende un modello di cohousing così potente e attraente, dove le persone vivono in spazi indipendenti ma condividono anche spazi e servizi comuni, è proprio il suo aspetto più trasgressivo: la rottura con la tradizione, la comunità e la convivenza.

Divulgare le nuove forma di abitare

In questo contesto, organizzazioni non profit come MeWe possono svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere e facilitare la realizzazione di comunità coese e collaborative che vivono in cohousing, dove le persone possono sentirsi supportate e connesse, contribuendo a combattere la solitudine e a costruire legami significativi.

Farlo da soli, però, è impresa ardua: quel che manca è un ecosistema impegnato a divulgare e promuovere forme alternative di abitare come il cohousing e le altre forma di abitare condiviso. La rottura del modello sociale corrente passa in primo luogo da lì.