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Spunti dal New European Bauhaus per un promotore di cohousing

Il cohousing e l’abitare condiviso sottendono, diremmo necessariamente, l’innovazione sociale, prima che quella edilizia. E una società come MeWe abitare collaborativo ha quasi un obbligo, prima di tutto verso se stessa e la propria identità, di scrutare all’orizzonte e comprendere dove vada l’innovazione, segnatamente quella sociale. In questo senso, esaminare con cura ciò che è […]

Il cohousing e l’abitare condiviso sottendono, diremmo necessariamente, l’innovazione sociale, prima che quella edilizia. E una società come MeWe abitare collaborativo ha quasi un obbligo, prima di tutto verso se stessa e la propria identità, di scrutare all’orizzonte e comprendere dove vada l’innovazione, segnatamente quella sociale.
In questo senso, esaminare con cura ciò che è accaduto in sede europea nella selezione dei premi del New European Bauhaus ci può fornire qualche indicazione. Anche in relazione al tipo di programma, dato che l’iniziativa del New European Bauhaus invitava proprio a immaginare il nostro futuro sostenibile e inclusivo.

Un dato emerge con forza: la netta maggioranza dei 20 progetti premiati non sono espressione delle grandi potenze europee tradizionalmente trainanti o dei Paesi cosiddetti “frugali”. Ben 15 dei progetti premiati, infatti, appartengono all’Europa dei cosiddetti PIGS e ben 9 sono spagnoli.
Noi che già ci occupiano di soluzioni abitative in cohousing e di abitare condiviso che differiscono sensibilmente da ciò che offre il mercato immobiliare siamo, quindi, autorizzati a trovare conferma che il nostro futuro “green” e inclusivo debba davvero differire molto dal recente passato fondato sui combustibili fossili?

Noi diciamo di sì. Il New European Bauhaus ci fa immaginare un futuro alla ricerca di un’innovazione sociale ed economica che guarda ad altre latitudini, probabilmente verso il sud. Di Europa e del mondo.
È indubitabile il fatto che nel recente passato e oggi l’Unione Europea stia intensificando sensibilmente gli investimenti nelle infrastrutture verdi, nella riabilitazione di edifici e nelle industrie legate alla mobilità a basse emissioni di carbonio. Ma nella sua versione attuale, il Green New Deal europeo promuovendo il capitalismo verde, di fatto, rafforza il potere degli agenti che quel potere lo hanno già nascondendo sotto gli indici ambientali le interdipendenze della divisione internazionale del lavoro: in altri termini, la transizione ecologica in atto non fa che riprodurre le disuguaglianze territoriali interne e globali.

Il New European Bauhaus, nel voler interpretare l’Europa quale primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 capace di essere la luce morale per il mondo, sembra cercar altro: la “transizione verde e giusta” sottesa a quei progetti premiati sembra richiedere una socializzazione dei diritti d’uso e di usufrutto rispetto al denaro pubblico investito nelle infrastrutture e nei beni legati ai vari settori, siano energetici, immobiliari o di trasporto. Sembra cercare forme di proprietà collettiva e di partecipazione dal basso quali strumenti tattici contro la privatizzazione sottesa all’intervento keynesiano e capaci di erodere il potere concentrato dagli oligopoli e dal capitale finanziario.

Trai vari progetti premiati, merita la nostra attenzione l’edificio APROP (Provisional Proximity Accommodation), situato nella parte bassa del Quartiere Gotico di Barcellona, che quando venne realizzato, alcuni chiamarono “scatola di sardine”. Oggi riceve il premio per la sua capacità di innovazione di fronte alla crisi sociale e climatica.
Il programma municipale APROP, oltre al progetto premiato ne sono in programma una dozzina, fa parte di ciò che viene chiamato “alloggiamento tattico” e si prefigge di proteggere e ricollocare gli abitanti dei quartieri fortemente esposti ai processi di gentrificazione, cioè le parti di città che soffrono di svuotamento ed elitizzazione.
L’unità spaziale e strutturale dell’edificio è un container navale che viene riutilizzato. I container sono impilati su una struttura metallica che funge da supporto e vengono completati da una facciata ventilata in policarbonato e scale al fine di ottenere un edificio perfettamente dignitoso e funzionale.
Questo progetto è definito come un prototipo. È trasportabile e adattabile. Può essere perfezionato e adattato ad altre parti della città, e diventare l’embrione di una ricolonizzazione del centro per ottenere una città più giusta e sostenibile.

Per chi come noi si prefigge, attraverso le soluzioni abitative in cohousing e in abitare condiviso, una casa accessibile ai più e capace di ricostituire un senso di comunità ove le relazioni familiari sono più deboli o insufficienti, da questo progetto catalano capiamo che una delle grandi sfide è quella di sviluppare abitazioni fuori dall’ordinario circuito del mercato immobiliare e capaci di sottrarre occasioni immobiliari agli investitoti privati tradizionali.

Per raggiungere questi obiettivi, il New European Bauhaus ci dice che occorrono soluzioni fantasiose che vadano oltre quelle attuali più ortodosse, focalizzate principalmente sullo sviluppo di nuovi insediamenti di edilizia popolare in contesti periferici o, al più, sull’acquisto di abitazioni esistenti dove si può. Soluzioni capaci di riconquistare porzioni della città consolidata, attraverso azioni come quella incarnata dai Gruppi Tattici di Ripopolamento Inclusivo. ATRI è un’alternativa complementare all’edilizia popolare tradizionale, che le consente di guadagnare spazi ove il mercato immobiliare sta facendo più danni: nei quartieri interessati da processi di espulsione e di gentrificazione. Non si tratta solo di proteggere quegli spazi che sono stati a lungo obiettivo degli investitori privati, ma anche di garantirli per le fasce di reddito che non potrebbero permettersi un acquisto in quelle zone: dai tetti degli edifici che non hanno esaurito la loro capacità edificabile in quanto al di sotto dell’altezza massima consentita nella zona, fino a determinati terreni che si trovano negli interstizi del tessuto urbano.

Ed è proprio nel processo attivabile, più che nella soluzione architettonica, che un promotore immobiliare di cohousing attento alla dimensione sociale delle comunità intenzionali trova il maggior interesse: l’intervento premiato dal New European Bauhaus, prima di tutto, costituisce un’opportunità per stringere alleanze con le comunità esistenti e costruire nuovo consenso su quale tipo di città vogliamo, per sviluppare spazi di quartiere dove oggi non esistono, per promuovere solidarietà e socialità là dove difficilmente esistono. Se affrontata attraverso processi comunitari e partecipativi, è infatti un’iniziativa che consentirà non solo di combattere la segregazione generata dalla commercializzazione delle abitazioni e aumentare il mix sociale, ma anche di promuovere la coesione di un intero quartiere.

L’esito del New European Bauhaus ci dice quanto è essenziale superare le concezioni ortodosse sulle modalità di intervento nelle politiche abitative da parte dell’amministrazione pubblica. Si tratta di assumere l’idea di fondo che ripopolare gli spazi disponibili nel nostro ambiente urbano più immediato non solo è urgente e necessario, ma è anche un’occasione per ricucire i nostri ecosistemi sociali, combattendo così sia la segregazione che la disuguaglianza. Rispetto a ciò, un promotore immobiliare sociale di cohousing e abitare condiviso non può rimanere indifferente…