Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha lanciato un Piano nazionale casa pluriennale e ha costituito presso lo stesso Dicastero un Gruppo di Lavoro apposito.
Nel caso più che strano di un Matteo Salvini che ci invitasse a offrire il nostro contributo, noi di MeWe abitare collaborativo, che ci occupiamo di edilizia sociale in cohousing e nelle altre forma di abitare condiviso, cosa potremmo dire?
In primo luogo porremo una questione di confini del gruppo di lavoro: si parla di casa. Molto meno di rigenerazione urbana o cose collegate e neppure di efficientamento energetico via bonus o meno.
In secondo luogo, cercheremmo di identificare il target di questo piano: gli anziani che richiedono idee abitative tali da rompere l’isolamento e supportare il benessere psicologico e, al contempo, i giovani della generazione Z che rischiano di arrivare alla loro età matura senza aver conseguito la necessaria indipendenza dalla famiglia di origine.
Arriveremo, quindi, non solo a parlare di casa, ma di forma e tipologia di casa: stiamo pensando al cohousing? si, stiamo pensando proprio a quello e non solo perché ce ne occupiamo quotidianamente: è l’idea di abitare più coerente rispetto alle sfide che il Piano Casa dovrebbe assumere.
Poi, come terzo passaggio, ci concentreremmo sull’esperienza di quei paesi con un’alta percentuale di alloggi sociali e a prezzi accessibili per cercare di replicare quanto appreso. Tra questi spicca la figura delle organizzazioni comunque denominate che, senza scopo di lucro o a scopo di lucro limitato (in Italia il variegato mondo della cooperazione), promuovono, costruiscono, risanano e gestiscono alloggi economici e sociali, sostenuti in misura maggiore o minore dalle Pubbliche Amministrazioni.
È dimostrato come, se questo tipo di entità gestisce una grande percentuale di alloggi sul totale del patrimonio, contribuisce a regolare i prezzi di mercato. Abbassandoli o, comunque, contenendoli. Il caso austriaco ne è un esempio evidente.
L’aumento degli alloggi realizzati e gestiti da queste organizzazioni cooperative sarà anche positivo per altri soggetti sociali e amministrazioni che realizzano progetti di intervento sociale attraverso l’edilizia abitativa, ma che non sono specializzati nella loro acquisizione, recupero e gestione.
Tuttavia, gli enti che operano nel settore dell’offerta e della gestione di alloggi sociali ed economici senza scopo di lucro, incontrano ogni giorno numerosi ostacoli che rendono difficile il loro lavoro e li pongono in una posizione di svantaggio rispetto agli attori for-profit che popolano il settore immobiliare.
Per tutto questo, le organizzazioni come la nostra che lavorano per generare un modello abitativo alternativo, sociale, accessibile e senza scopo di lucro, potrebbero rivendicare politiche e piani abitativi lungo due direttrici:
- A) Aumentare il patrimonio immobiliare sociale e a prezzi accessibili in affitto fino a raggiungere la media europea del 9,3%, con l’obiettivo di raggiungere il 15% nel 2040 come richiesto dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto a un alloggio adeguato. Per questo:
- aumentare il PIL destinato all’edilizia abitativa, e aumentare le voci di bilancio destinate all’edilizia economica e sociale raggiungendo la media europea pari allo 0,55% del Pil;
- sviluppare programmi che abbiano come soggetti destinatari privilegiati il Terzo Settore no-profit.
- B) Promuovere e sostenere il modello degli enti sociali no-profit che forniscono alloggi. Per questo:
- definire un quadro normativo per gli “entità sociali che forniscono alloggi” che consenta di elaborare politiche pubbliche che favoriscano e facilitino la loro attività, stabilendo un equilibrio tra diritti e obblighi per gli enti. Lo standard dovrebbe considerare, tra gli altri elementi, i seguenti aspetti:
- stabilire requisiti chiari ed equilibrati affinché questi soggetti possano essere attori prioritari nello sviluppo delle politiche abitative;
- stabilire criteri per gli incentivi fiscali tenendo conto dell’obiettivo sociale e non speculativo;
- differenziare chiaramente l’attività degli enti senza scopo di lucro che forniscono alloggi da altri attori che si inseriscono in un contesto speculativo e senza un orientamento sociale, come i grandi proprietari di alloggi a scopo di lucro;
- definire un quadro fiscale favorevole al lavoro del Terzo Settore, riducendo il carico fiscale di alcune tipologie come l’IVA, l’imposta sulle società e l’imposta sul reddito delle persone fisiche, a condizione che siano utilizzate per espandere l’edilizia sociale stock e acquistabile da organizzazioni no-profit;
- aumentare i finanziamenti pubblici per i processi di acquisto, gestione e supporto, attraverso organizzazioni pubbliche, capaci di generare linee di finanziamento vantaggiose riducendo o agevolando il tasso di interesse e allungando i tempi di rimborso. Allo stesso modo, sviluppare garanzie di finanziamento pubblico per l’acquisizione di alloggi;
- stabilire una riserva fondiaria minima del 30% per alloggi a prezzi accessibili, sia in terreni urbanizzati e sia in nuove qualificazioni di terreni edificabili. Ciò, attraverso lo sviluppo di formule di concessione o diritto di superficie per lo sviluppo di progetti abitativi del Terzo Settore;
- introdurre il diritto di prelazione e di recesso nell’acquisto di beni immobili a favore degli enti senza scopo di lucro e delle Pubbliche Amministrazioni;
- promuovere l’inserimento di clausole sociali attraverso la modifica del Codice dei contratti del settore pubblico per favorire iniziative senza scopo di lucro o a profitto limitato per programmi di edilizia sociale e di emergenza.
È tutto? No, ma il blogpost ha già raggiunto il suo limite di spazio. E, poi, ci abbiamo già provato una volta con le proposte al PD: qui rimangono scritte.