Una della varianti più importanti allorché si parla di cohousing è l’abitare collaborativo che si forma attorno a gruppi specifici in una situazione di vulnerabilità, adattandosi a particolarità ed esigenze condivise. Ci concentreremo su quello degli anziani.
L’abitare collaborativo per anziani, detto anche senior cohousing, termine con cui Charles Durrett rese popolare il modello Stati Uniti, rispetto al modello di cohousing intergenerazionale, introduce alcune peculiarità:
- è dedicato agli anziani intesi in senso ampio, cioè a quel vasto gruppo di persone che hanno lasciato o stanno lasciando la propria fase lavorativa e/o famiglia e, da soli o in coppia, cercano di prendere parte attiva nella progettazione della fase successiva della loro vita;
- fin dall’inizio attribuisce particolare importanza alla salute e all’assistenza e, in tal senso, prevede più servizi e spazi dedicati a questi aspetti e anche servizi aggiuntivi come programmi di assistenza o fondi di solidarietà;
- tende ad avere una maggiore presenza di servizi e spazi comunitari, con cucine professionali, sale da pranzo per uso quotidiano, soggiorni dedicati alle cure mediche, appartamenti adattati per le persone non del tutto autosufficienti, ecc.;
- si prende in modo particolare cura dell’adattamento dell’edificio a tutti le condizioni di accessibilità.
Rispetto al modello intergenerazionale, l’housing collaborativo per le persone anziane ha caratteristiche che lo rende suscettibile di essere inserito nel catalogo delle infrastrutture dei servizi sociali.
Poiché è rivolto a un profilo demografico specifico e quindi facilita la specializzazione dei servizi, questa tipologia si sta posizionando nell’immaginario collettivo come a una vera e propria alternativa alle residenze per anziani. Rispetto a queste ultime il senior cohousing presenta molti aspetti in comune ma anche rilevanti vantaggi:
- Partecipazione e comproprietà: il fatto che gli utenti possano essere anche soci del titolare e gestore (generalmente una cooperativa) implica un livello di partecipazione diverso da un altro tipo di struttura in cui l’utente è un ospite.
- Autonomia e indipendenza: i senior cohousing si basano sull’autonomia e prevenzione della dipendenza, restituendo alle persone la capacità di decidere sulla propria vita.
- Opportunità: le persone non accedono all’abitare collaborativo come ultima risorsa, ma intenzionalmente, in quanto sono alla ricerca di una comunità e di una serie di servizi per migliorare la qualità della vita.
- Flessibilità: la maggior parte di questi progetti mette in discussione la definizione ufficiale di “anziano”, concependo la “terza età” come una nuova fase della vita in senso lato. È comune espandere l’età ammissibile per i nuovi soci fino a 55 anni.
- Diversità: a causa di tutto quanto sopra, le persone non solo entrano in un senior cohousing quando non hanno altra alternativa ma vi accedono anche prima. Questa diversità di età e di capacità facilita l’invecchiamento attivo, l’aiuto reciproco e co-cura.
- Progressività: data questa diversità, generalmente la necessità di un supporto esterno può essere ritardato e viene implementato nel tempo e nella misura in cui risulta progressivamente necessario.
- Coerenza tra l’oggetto sociale e le reali esigenze del gruppo: poiché gli utenti stessi fanno parte della governance, è garantito in modo naturale e permanente che lo scopo gestionale sia sempre quello di fornire servizi e aumentare la qualità della vita, senza poter produrre alcuno spostamento tra le priorità del soggetto gestore e gli utenti, come spesso accade nelle residenze assistenziali.
Questi aspetti del senior cohousing, insieme alle caratteristiche giuridiche ed economiche del modello su cui si basano, differiscono non solo dalle residenze ordinarie ma anche dalle tendenze degli spot pubblicitari dedicati al cambio di vita degli anziani che popolano la c.d. silver economy.